IMG_0280.1 - Copia

Da Torino a Riace

Da Torino a Riace

“Che valore ha il mio tempo? Sto facendo cose che mi rendono felice? Come posso migliorare la qualità della mia vita?”

Il progetto Pedala Diritto nasce dalla ricerca delle risposte a queste domande, che erano diventate un’urgenza, un bisogno impellente per ritrovare l’equilibrio nella vita quotidiana. Sì, perché queste domande ce le siamo poste al rientro da una vacanza in Puglia, nel 2018, e si sa come è il rientro dalle vacanze…può creare squilibri, e a volte anche idee nuove. In Puglia il tempo era stato lento e intenso, le risposte a queste domande erano proprio sotto al nostro naso e così abbiamo semplicemente iniziato a dare loro corpo, a dare un valore al tempo libero, una direzione alle passioni che ci accomunano (i viaggi, le radici dei popoli, i loro diritti).

Tra molte idee e altrettante modifiche, tra piccole difficoltà, è nato il nostro progetto, ci si è materializzato addosso. “Perché avete fatto tutta quella strada in bici, vi siete esposte a rischi e pericoli non necessari, tutta quella fatica per farvi una vacanza?”. Anche se non ne eravamo completamente consce, lo abbiamo capito bene durante il viaggio: perché non potevamo fare altrimenti! 

Un allenamento nelle campagne novaresi

E come noi, anche tutte le persone che abbiamo incontrato: fanno quello che fanno perché fa parte del loro innato modo di essere, non possono esimersi dalla loro natura, si esprimono e realizzano solo nel rapporto positivo con l’altro.

Il progetto è iniziato con un viaggio in bicicletta e in treno, nel mese di agosto 2019, da Torino -nominata Shelter City 2019 – fino a Riace – Città dell’accoglienza. Il percorso si è definito da solo man mano che le associazioni/privati/cooperative si iscrivevano al progetto, noi siamo solo andate a trovarle. Il viaggio è stato una ricerca costante e curiosa ad ogni incontro mentre ci divertivamo a condividere sui social e sul sito la bellezza della gente che incontravamo. E in futuro che ne sarà? Promuoveremo una nuova forma di turismo che metterà al centro le persone.

(Qui trovate il racconto di come è nato il progetto Pedala Diritto).


Torino

Torino Shelter City, ovvero la città che accoglie i difensori dei diritti umani, ha ospitato anche noi la sera prima della partenza con un aperitivo alla Casa del Quartiere. L’incontro con alcune realtà locali, l’attivista più anziana di Amnesty International e molti amici venuti ad augurarci buon viaggio è quello che ricordiamo di quella sera. La mattina dopo, alcuni amici sono partiti con noi per la prima tappa: Torino – Asti.

Agli occhi di tutti sembravamo un po’ folli ad intraprendere quest’avventura in bicicletta senza allenamento, senza aver mai viaggiato così, sotto il solleone dell’agosto italiano, programmando solo il minimo indispensabile, con dei bagagli che si sono rivelati poi troppo pesanti. In tanti ci hanno fatto domande a cui noi non avevamo risposte precise, gli amici erano preoccupati e ci manifestavano paure che noi non avevamo. È stata l’audacia che ci ha permesso di partire, quel pizzico di incoscienza, di follia e di curiosità, non priva di dubbi. L’”audacia” e l’”idea”, come siamo state ribattezzate in una delle tappe del viaggio, ci hanno fatto fare il primo giro di ruote.

Partenza da Torino
Con gli amici sull’argine del Po

Asti

Tre cari amici, molto più esperti di noi nell’arte della bicicletta, ci hanno scortate nei primi 60 km per vedere se potevamo cavarcela da sole. Beh, è andata alla grande! Ad Asti, poi, ci ha accolte una solida rete di brillanti associazioni: hanno organizzato una cena e un cerchio di condivisione per raccontare le rispettive storie. È stato bellissimo vedere tante persone che si occupano del benessere della città, ognuno a proprio modo, in ogni caso unite, come se non ci fosse distinzione tra associazioni, membri, mission. Tutti partecipano con entusiasmo alle iniziative reciproche, non importa chi sta organizzando. Per l’occasione, essendo venerdì – il giorno della settimana in cui Asti promuove la scelta di mezzi di trasporto alternativi all’auto evidenziandola con abiti arancioni – anche noi abbiamo aderito vestendoci di arancione insieme a loro. Di quella serata ricordiamo ogni persona con grande affetto: grazie a tutti i componenti di Asti CambiaRete Welcoming Asti, Consorzio Co.Al.A. – EducambienteNoix de KolaPiam OnlusPròxima Estaciòn Colombia, Ananse, Legambiente e Asti Rooms.

Con le associazioni di Asti

Il mattino dopo siamo ripartite con la sensazione che sarebbe andato tutto bene, che avremmo trovato l’“Italia Bella” che stavamo cercando, non solo bei panorami, belle città, bei monumenti, musei, buoni ristoranti, ma anche belle persone che contribuiscono ogni giorno a rendere bella la vita.

Un drappello di astigiani ci ha accompagnate alle porte della città e, alcuni di loro, fino alla ciclopedonabile sul fiume Tanaro. È stata la nostra prima sterrata, abbiamo fatto molta fatica, ci siamo confrontate subito con la lentezza e con qualche difficoltà tecnica forando la prima ruota (e riparandola, ovviamente!). Nonostante le nostre bici fossero adatte allo sterrato, non eravamo preparate noi, con tutti quei bagagli e il rischio di cadere sulla ghiaia o tra le piante che crescevano in mezzo alla carreggiata. Nel pomeriggio siamo giunte ad Alessandria, con l’idea di proseguire per portarci più vicine alla tappa successiva.

Invece abbiamo imparato che se ci si siede per riposare un po’ e mangiare un gelato, poi è molto difficile ripartire perché i muscoli si raffreddano. Il giorno successivo abbiamo scalato la nostra prima collina, 518 metri di dislivello, 53 km di cui gli ultimi 3 sono stati…infiniti. Ma siamo giunte a destinazione e, per premiarci, ci siamo regalate un bagno in piscina.

Il navigatore che abbiamo utilizzato lungo il percorso ci ha fatto molte sorprese tra cui strade sterrate (che ormai guardavamo con diffidenza!), guadi di fiumi, scalinate, salite verticali, discese altrettanto verticali sullo sterrato, spegnimenti improvvisi causa surriscaldamento, ma anche piacevolissime strade secondarie senza traffico e con asfalto liscio.


Piacenza

Proseguendo il percorso abbiamo preso il nostro primo treno da Voghera e siamo arrivate a Piacenza dove ci aspettava Diego del “Tandem volante” con un’ospite inattesa. Abbiamo così conosciuto Rosita che con la sua dolcezza ed energia ha immediatamente ribaltato i nostri – già imperfetti – programmi di viaggio invitandoci a rimanere un giorno in più del previsto.

Piacenza è stato un altro pozzo di sorprese: Diego e Cassandra ci hanno subito messe alla prova su uno dei loro tandem con risultati, ad essere oneste, scarsi. Dopo essere stati su un tandem è impressionante pensare quanto sia importante il loro impegno in favore dei disabili a cui offrono la possibilità di andare in bicicletta, regalando tandem alle associazioni. La sensazione di impotenza di chi viene guidato è disarmante e la relazione di fiducia che si crea con chi guida è una delle meraviglie umane.

Con il Tandem Volante e Energetica

A Piacenza abbiamo fatto tutto quello che si potesse fare in due giorni in una bella città con belle persone: abbiamo partecipato ad una festa paesana, visto fuochi d’artificio, ballato, fatto il giro dei castelli piacentini, forato su una statale nelle ore più calde della giornata, siamo andate al cinema, siamo state nella redazione del quotidiano Libertà, abbiamo scovato per caso il fondatore della “mitologica” libreria sociale di Via Roma e molto altro. Insomma, si è parlato di ambiente, di libertà di espressione, di salute, di cultura e si è riso tanto. Di questi incontri ringraziamo uno ad uno i componenti di Il tandem volanteEnergetica Aps, Cascina La RachinaLa Fabbrica dei Grilli, LegambienteLibertàLibreria Fahrenheit 451.

Sul Tandem Volante

Il distacco da Piacenza è stato graduale in quanto un fantastico piacentino, Gaetano, si è offerto di scortarci verso la meta successiva. Lui è un’altra forza della natura: lungo il percorso ha sfoderato tutte le “armi” del suo mestiere di cui eravamo ignare fino a quel momento. Per noi, quel giorno, è stato guida stradale, supporto morale, videomaker, fotografo. Insomma, senza di lui non sarebbe successo: abbiamo stabilito il nostro record di 90 km e siamo arrivate tutto d’un fiato a Parma.

(Qui trovate il bellissimo filmato girato da Gaetano).

La strada è stata, durante tutto il viaggio, amica sorprendente, confidente dei nostri pensieri, ascoltatrice delle canzoni che ci cantavamo da sole: di fatto era lei che dettava i nostri tempi di viaggio a seconda della pendenza, del materiale e del traffico che la caratterizzavano. Ogni mattina iniziavamo a pedalare e il resto lo decideva lei.


Bologna

Quasi già pienamente consapevoli di questo, il giorno successivo siamo ripartite per Bologna e approdate direttamente al Condominio Scalo. Lì abbiamo incontrato i ragazzi di Gira la Cartolina e, intorno ad un tavolo e con un succo di frutta, abbiamo ascoltato storie di passioni, forti motivazioni, racconti di cultura, di vita. Ci siamo subito innamorate della loro start up che verte sulla creazione di itinerari turistici mettendo la persona al centro del rapporto con la città. Giuseppe, Biagio e Samantha le strade di Bologna le conoscono bene perché sono state la loro casa e il loro tetto per periodi più o meno lunghi e ora hanno deciso di mettere su strada anche tutte le loro competenze e le loro passioni per guidare passo per passo i turisti nella loro città. La professionalità con cui già lo fanno e l’imprenditorialità con cui pensano di sviluppare il progetto in futuro sono un carico di energie positive che portiamo con noi ancora oggi. A fianco a loro, nell’ideazione e nello sviluppo della start up ci sono solide realtà bolognesi: La QuadreriaASP Città di BolognaAssociazione Piazza Grande.

Anche a Bologna non ci siamo fermate all’incontro programmato perché, quando vai in giro senza una corazza – che sia quella dell’auto o quella metaforica che ci creiamo da soli – gli incontri si moltiplicano automaticamente. E così siamo finite nel prato antistante XM24, ove era in corso una manifestazione per il recente sgombero dello storico centro sociale. Le realtà agricole e commerciali del circondario avevano organizzato un mercatino a km zero (lo stesso che usualmente si teneva all’interno del centro sociale) e così abbiamo approfittato del cibo, del prato e della compagnia. Lì abbiamo conosciuto alcuni componenti di Campi Aperti – associazione per la sovranità alimentare e di Camilla – Emporio di comunità. Così non abbiamo potuto fare a meno, il mattino successivo, di andare a visitare di persona questo esemplare modello di commercio equo solidale autogestito: la svolta dell’economia e della qualità.

I ragazzi di Gira la Cartolina che ci firmano la bandiera

Dopo Bologna ci aspettava l’Appennino. Lo sapevamo e lo temevamo fin dalla partenza, noi che siamo donne di pianura (anzi, proprio di risaia). E così abbiamo chiesto l’aiuto di un treno fino ad Arezzo e ci siamo poi immerse in lui. Lo temevamo senza capire fino in fondo perché l’Appennino fosse veramente temibile. E lo abbiamo capito solo proseguendo il viaggio: visitando paesi spopolati, affrontando binari abbandonati, percorrendo chilometri su littorine ad una carrozza e vedendo i cartelli “Vendesi” su ogni porta. A quanto pare non eravamo le uniche ad averlo temuto questo Appennino e lui, tante volte, aveva vinto.

L’Appennino comunque ci ha rivelato da subito la sua bellezza, di molto superiore alla sua impervietà.

Il muro dell’ex XM24
Le torri di Bologna

Acquasparta

Pedaliamo sorridenti dalla Toscana verso l’Umbria, circumnavighiamo il lago Trasimeno. Inframezziamo anche con una giornata di riposo sulle isole e arriviamo ad Acquasparta scortate nell’ultima tratta dagli sprintosissimi componenti del Gruppo ciclistico Avis locale. Acquasparta è un gioiellino incastonato tra le colline umbre e i suoi abitanti sono stati per noi il primo esempio di resistenza di montagna. Il paese di appena quattromila abitanti ospita Bottegart, un’associazione formate da quattro persone o poco più che realizzano iniziative culturali e di sensibilizzazione alla cittadinanza coinvolgendo migliaia di partecipanti. La più importante tra queste è il Festival della Musica e dei diritti umani che si svolge ogni anno nel mese di giugno con ospiti di altissima levatura.

Il gruppo ciclistico Avis Acquasparta
Arrivo ad Acquasparta

Anche qui l’accoglienza, a suon di spinte su per le salite, è stata calorosissima. La piccola comunità ha organizzato un bell’evento con tanto di condivisione di cibo e cultura nella meravigliosa piazza dedicata a Federico Cesi, i cui archi si affacciano sui monti. La mattina successiva nella piazza del paese abbiamo ricevuto una bella sorpresa: una coppia di turisti australiani in vacanza in Umbria ci ha riconosciute e così ci siamo sentite chiamare per la prima volta “Pedala Diritto!” senza che fossimo noi a parlarne. Ecco il nostro unico momento di gloria festeggiato con un cappuccino insieme.

Di nuovo in sella, pedalavamo verso il più profondo sud, mentre la natura cambiava i suoi caratteri.

Fino ad allora la forte presenza dei campi di erba medica in fiore aveva aromatizzato il nostro viaggio, mentre più a sud iniziavamo ad incontrare i primi alberi di fico, pianta che non ci avrebbe più abbandonate nei chilometri successivi. L’abbiamo visto crescere ovunque -dai muri, sui tetti, anche a testa in giù-, l’abbiamo sentito profumarci la strada anche dove non lo vedevamo, l’abbiamo sentito nostro amico nel viaggio e battezzato “albero della resistenza”.


Napoli

Con questo profumo nelle narici siamo arrivate a Napoli, prima vera metropoli del meridione. Napoli con il suo carattere internazionale da sud del mondo, non solo dell’Italia, si è presentata in tutta la sua schiettezza con imponenti bellezze e con altrettanto grandi fatiche. Ogni difficoltà che si presentava dopo la frase: “E’ semplice, dovete solamente…” è stata però ampiamente ripagata dal vissuto. Eh sì, perché a Napoli abbiamo incontrato Stop Biocidio(R)esistenza Anticamorra e L’Officina delle culture Gelsomina Verde. La prima l’abbiamo conosciuta il giorno di Ferragosto, in un contesto del tutto inusuale per noi: eravamo a Castel Volturno durante una manifestazione di contestazione al Governo italiano in crisi proprio in quei giorni. Lì abbiamo assistito ad una gavettonata, abbiamo vissuto le difficoltà che si incontrano nel manifestare il proprio pensiero (e abbiamo avuto molta paura di questo) e, infine, abbiamo parlato con Enzo Tosti, il caposaldo dell’associazione che ci ha raccontato della lotta quotidiana, personale e civile ai roghi tossici che devastano la sua terra. Ci siamo salutati abbracciandoci, forte, e ci è scappata anche qualche lacrima.

Con StopBiocidio

Il giorno dopo siamo andate a Scampia, a visitare l’Officina delle Culture e (R)esistenza Anticamorra e a conoscere il mitico Ciro Corona. Ci siamo andate con l’R5, il bus tristemente noto perché portava i tossicodipendenti da Piazza Garibaldi – Stazione Napoli Centrale – direttamente alle piazze di spaccio, lacci emostatici compresi. Lo abbiamo aspettato per ore quel bus. Nell’attesa abbiamo iniziato a dubitare seriamente della qualità dei collegamenti al sud Italia per poi scoprire -troppo tardi- l’esistenza di una metro molto più efficiente. Alla fine ci siamo arrivate a Scampia. Un’amica ci aveva detto di prepararci e di mangiare un babà ben imbevuto di rhum prima di andarci e Gomorra ce l’aveva fatta vedere in tv. Noi eravamo pronte. Invece Scampia non è Gomorra. Ha i suoni ovattati di chi è stanco di sparare e ha l’energia quasi sovrumana di chi lavora giorno e notte per ricostruire. Le tante realtà di resistenza civile attive nel quartiere comunicano un senso di vitalità che supera il degrado delle Vele. Questi palazzoni hanno gli ascensori bruciati, il cemento armato corroso, le utenze tagliate, i tubi rotti e perdite d’acqua tali da creare pozze che sembrano stagni nei cortili. “Alle Vele un camorrista non ci abiterebbe mai, alle Vele ci sta solo chi non ha alternative” ci hanno detto. E le alternative a Scampia stanno nascendo come funghi grazie all’impegno di chi lì ci è cresciuto e lì vuole vivere bene.

L’impegno sociale che abbiamo toccato con mano in questo viaggio è stato sempre stupefacente: ove per l’organizzazione impeccabile tra realtà, ove per le difficoltà geografiche e morfologiche del territorio, ove per le difficoltà socio economiche o per la storia locale, che mai ci si può scrollare di dosso. Ma, man mano che pedalavamo verso sud, questo impegno sociale si faceva sempre più forte e la resilienza si toccava con mano. Sembrava quasi che ci stessimo facendo l’abitudine a frequentare gente che lotta…e allora loro lottavano più intensamente.

Una delle Vele a Scampia

Solofra

Panorama su Solofra

Tra i suoni dei clacson di Napoli, che costantemente accompagnano i ciclisti nel sud Italia, siamo partite verso est. Qui l’Appenino si fa più arduo e, per noi cicloturiste senza allenamento, è stata una scalata impegnativa. Siamo così arrivate a Solofra, la città abbracciata da montagne verdi, e abbiamo conosciuto tanti vecchietti in piazza, abbiamo ricevuto in dono dell’uva ma, soprattutto, abbiamo incontrato Tiziana di AmpliaMenti. Una giovane e frizzante donna che si occupa, con le sue colleghe di promuovere la cittadinanza attiva per valorizzare il proprio territorio e per generare, nei giovani, legami con le radici. Tiziana ci ha permesso di fare un tour dei monti in cui vive che difficilmente saremmo riuscite a fare in bicicletta, dati i dislivelli. Ci ha raccontato della sua infanzia e dei posti che ama. Ci ha trasmesso tutta la passione per quello che fa per Solofra e che non potrebbe fare altrove. Ci ha presentato Gabriele, un ciclista matto e appassionatissimo che ha revisionato le nostre bici ed è venuto a prenderci il mattino successivo per accompagnarci fuori città facendoci evitare le salite più impegnative.

E per fortuna, perché l’Appennino si era definitivamente presentato nella sua asprezza mascherata sotto la coltre verde di alberi! Quel giorno, però, abbiamo barato con l’Appenino: il nostro caro amico Rocco (che quando raccontiamo questo episodio visualizziamo sempre con un’aureola sulla testa) ci ha offerto un passaggio sul suo furgone e noi non ce lo siamo fatte scappare.

È stato così che ci siamo godute le montagne dai finestrini, tutto ha iniziato a scorrere più veloce e ci siamo anche concesse una rinfrescata alle cascate dell’oasi WWF di Senerchia.


Calitri

Grazie al passaggio di “San” Rocco siamo giunte a Calitri, in alta Irpinia dove si stava svolgendo lo SponzFest – Sottaterra e dove avevamo un appuntamento importante: ascoltare Mimmo Lucano, ex sindaco di Riace, allora ancora esiliato dal suo paese. È stato molto emozionante ascoltare quest’uomo, umile e schivo, sul palco davanti a 2000 persone, e sentirlo raccontare del suo paese, delle storie dei riacesi e dei loro ospiti, della sua innata dedizione e apertura agli altri, del modello funzionale e umano che ha utilizzato. Le sue parole erano piene di speranza per gli italiani e per l’umanità tutta.

I giorni dello SponzFest sono stati pieni di incontri sorprendenti: lo Chef Rubio ha raccontato della sua esperienza a bordo della nave Open Arms, ferma in acque internazionali senza il permesso di attraccare, con a bordo 134 migranti in condizioni precarie; Grazia Di Michele, cantautrice, ha tenuto una lezione alla “Libera Università dei Ripetenti” su come le canzoni influenzino e abbiano influenzato in passato, la costruzione dello stereotipo femminile; Vinicio Capossela, direttore artistico e vera anima del festival, ci ha fatto riflettere su come si possano ripopolare i paesi dell’entroterra italiano, di quell’Appennino tanto temuto ma ricco di fortissime radici e tradizioni. E poi tanta musica, concerti, teatro, artisti di alta levatura.

Vinicio Capossela si fa ricoprire di vernice nera durante lo SponzFest

Sono state giornate (e nottate) un po’ sospese nel tempo. Con la bicicletta abbiamo imparato a rallentare, a contare i km uno ad uno, a dilatare le distanze; allo SponzFest abbiamo fermato del tutto il tempo. Finché non è suonata una sveglia all’alba che ci ha riportate alla realtà e anche un po’ alla frenesia del “dover” fare.


Catanzaro

Arrivo a Catanzaro

Dovevamo arrivare a Catanzaro in un giorno solo e non avevamo preso in considerazione di pedalare sulle strade calabresi, anzi ci era stato caldamente sconsigliato a causa dell’indisciplinatezza degli automobilisti, delle condizioni pessime del manto stradale e dell’assenza di piste ciclabili. Così, quel giorno, abbiamo preso un autobus e 3 treni, con tutte le difficoltà di caricare e scaricare le biciclette su ogni mezzo. Avremmo certamente preferito pedalare ma più di 500 km erano impossibili per noi in una sola giornata.

Un po’ provate dal viaggio, siamo arrivate a Catanzaro all’imbrunire dove siamo state accolte da Viviana di della Coop sociale MEET Project ed Emiliano di Venti d’Autore. Ci siamo incontrati vicino alla statua del Cavatore, simbolo della forza e della tenacia dei catanzaresi che avevamo davanti. Ragazzi che hanno studiato lontano dalla loro città e ci sono tornati determinati a renderla ancora più bella, umanamente parlando.

Il giorno successivo ci siamo separate: una di noi è andata al matrimonio di amici (vuoi mai che facciamo un viaggio a contatto con gli altri e trascuriamo proprio i nostri amici?!) e l’altra si è rilassata al Parco della Biodiversità mediterranea incontrando i fantastici componenti della Cooperativa Atlantide, che da decenni si occupano di promuovere la cultura musicale sul territorio organizzando il Catanzaro Jazz Festival. Prima di ripartire siamo riuscite ad incontrare anche la straordinaria Ninetta, che per tutta la vita si è occupata di salute mentale in città fondando le associazioni Ave Ama e I Fiori del deserto.


Riace

Ormai affezionate e promettendo di tornare presto – come succedeva in ogni tappa – ci siamo avviate verso la meta finale del nostro viaggio: Riace. Era già buio e il sole tramontava sul paese mentre salivamo. In piazza ci aspettava Antonio, un giovanissimo ragazzo della “Fondazione è stato il vento”, che ci ha consegnato le chiavi di una delle case adibite ad albergo diffuso, scelta con cura tra le tante perché avesse spazio per alloggiare anche le nostre preziose compagne di viaggio. E in effetti di spazio ce n’era: era un intero palazzo disabitato riservato per noi e l’androne per le bici. Antonio ci ha raccontato che affittano ai turisti le case abbandonate dagli abitanti di Riace emigrati altrove, precedentemente restaurate durante il periodo dell’accoglienza dei migranti. Per caso incontriamo la dottoressa del paese che ci dà il benvenuto e ci chiede “quanto vi fermate?”. In quel momento non lo sapevamo, ma tutti i riacesi con cui avremmo parlato ci avrebbero fatto questa domanda per poi rammaricarsi del fatto che il nostro soggiorno era troppo breve. Sembrava che in paese abbiano l’accoglienza nel DNA.

Arrivo a Riace Marina
La salita a Riace al tramonto

Riace ci ha piacevolmente sorprese perché, dai racconti di amici e conoscenti che l’avevano visitata nei mesi passati, ci aspettavamo un paese cupo, triste, immobile, diroccato, vuoto, invece è stato l’opposto: c’erano bambini di tutti i colori al parchetto che giocavano e schiamazzavano, il bar in piazza era pieno, c’erano turisti, gente nel centro e coloro con cui abbiamo parlato avevano un’aria di speranza, come se accettassero la situazione del momento proprio perché consci che era solo un periodo e che le cose cambiano sempre. Certo, le botteghe multietniche erano chiuse, si respirava un’aria di sospensione, come se il tempo fosse in pausa. Le persone con cui abbiamo parlato rimpiangevano i tempi in cui tutto funzionava, sia per gli italiani che per i migranti, ma la speranza era tangibile: tutto cambia, cambierà anche questo.

Uno degli elementi decorativi di Riace
Sasso dipinto a Riace

D’altronde, abbiamo capito che la resilienza e la resistenza sono le principali risorse dell’Italia e in particolare del sud. Tutte le realtà che abbiamo avuto modo di incontrare lungo il nostro cammino a due ruote sono come gli alberi di fico di cui vi abbiamo detto: nascono, lottano e profumano ancora di più dove è più difficile vivere.


Gioiosa Jonica

Riace era la nostra meta quando abbiamo creato il progetto ma, come è accaduto spesso, i programmi sono cambiati in itinere. Ci siamo spinte un po’ più a sud, a Gioiosa Jonica, per incontrare Maurizio della Cooperativa Nelson Mandela: una colonna portante del sociale in Calabria e non solo, attuatore del “modello Riace”, fondatore del Comitato 11 giugno e gestore di un b&b in una villa settecentesca in cui, proprio quando siamo arrivate noi, stava ospitando un campus di “Non una di meno”. È stato un incontro toccante e commovente, degna conclusione del nostro peregrinare nell’umanità e nella bellezza.

Il giorno del ritorno a casa ci siamo separate dalle nostre amiche a due ruote, le abbiamo viste sparire sotto strati e strati di cartone e nastro adesivo e abbiamo sperato che il viaggio andasse bene anche per loro. Dopodiché, più leggere ma piene di gioie, di esperienze, di emozioni, ci siamo imbarcate su altri 4 noiosissimi treni fino a casa, dove ci aspettava l’ennesima sorpresa: una delegazione di bentornato composta da amici, genitori e…altri amici che ci hanno raggiunte con fiori e cartelli colorati.

Negli ultimissimi chilometri su due ruote, sul lungomare jonico, ci siamo imbattute nella simpatica scultura di una bicicletta che riportava in epigrafe questa frase: “Nella vita non dobbiamo perdere mai la capacità di realizzare cose impossibili” – Sisinio Zito.

Così vogliamo lasciare ad ognuno di voi lo stesso messaggio che abbiamo ricevuto noi:

“Che valore ha il tuo tempo? Sti facendo cose che ti rendono felice? Come puoi migliorare la qualità della tua vita?” Rispondi senza porre limiti. Vivi!

Questo articolo è stato pubblicato sulla rivista “Novara è” a Novembre 2019
Monumento a Sisinio Zito
Tags: No tags

Comments are closed.